Sul cammino che porta da Canterbury a Roma i pellegrini dovevano affrontare numerose difficoltà. Nella bisaccia portavano cibi conservabili e quando si fermavano nelle locande mangiavano piatti semplici e legati alla stagionalità.
l Giubileo straordinario della misericordia ha avuto inizio l’8 dicembre 2015 e sono già milioni i pellegrini che si sono messi in cammino per raggiungere Roma. La maggior parte di loro, oggi, preferisce raggiungere la capitale della cristianità con aerei e automobili ma c’è stata un’epoca in cui l’unico modo per arrivare a Roma era percorrere a piedi la via Francigena armati solo di bastone e bisaccia. Il cibo dei pellegrini lungo il cammino era facilmente conservabile e strettamente legato alla stagionalità. Quando si fermavano per rifocillarsi chiedevano ospitalità o allogiavano presso le locande, nelle quali si sfamavano in base alle disponibilità economiche. Il cibo che si serviva era molto salato in modo da indurre molta sete nei viandanti così l’oste riusciva a vendere una grande quantità di vino. All’osteria come per il viaggio, i pellegrini preferivano dissetarsi proprio con il frutto della vendemmia: l’acqua poteva essere inquinata e quindi dannosa per la salute mentre il vino, anche se scadente, conteneva un minimo di alcool che lo rendeva asettico.
La via Francigena
La via Francigena parte da Canterbury in Inghilterra e arriva fino a a Roma incrociando la via Lattea. Attraverso l’Italia, durante il medioevo, passavano le maggiori vie di comunicazione del Mediterraneo, e fino alla caduta nel XIV secolo di San Giovanni d’Acri, ultimo baluardo dei cristiani in Oriente, il punto di arrivo della via Francigena erano le coste pugliesi per imbarcarsi per la Terra Santa. Alla fine di questo secolo Gerusalemme fu definitivamente sostituita con Roma come meta principe di pellegrinaggio e chi faceva voto di recarvisi prendeva il nome di “Romeo”. Il viaggio del pellegrino, che doveva essere fatto rigorosamente a piedi, era tutt’altro che facile. Prima di mettersi in cammino il devoto si riconciliava con tutti, faceva testamento e pagava i debiti.
Una ricetta “per pellegrini”
I pellegrini quando si fermavano per riposarsi e mangiare cercavano ospitalità in conventi o nelle case di chi avesse il buon cuore di accoglierli. I più facoltosi pagavano per soggiornare in locande ed osterie. Il “ menù del pellegrino” era a base di zuppe e minestre come ad esempio: la paniccia a base di cereali e legumi, il macco, una vellutata fatta con legumi secchi, ma anche salumi, formaggi e frittatine. L’alimento principe era il pane grazie anche alla sua capacità di conservazione. Non doveva essere bianco perché era simbolo di mollezza, mentre era molto diffusa la sua variante nera, chiamata pane “della penitenza” fatto con grano tenero, segale, spelta, orzo, crusca di frumento, farina di fave e di castagne. La prima testimonianza scritta di una ricetta per pellegrini risale al XV secolo quando un cuoco di origine tedesca, Giovanni Bockenheym, scriveva nel suo ricettario: “Prendi le fave, lavale bene in acqua calda e lasciale così tutta una notte. Poi falle bollire in acqua fresca, tritale bene e aggiungi vino bianco. Condisci con cipolla, olio di oliva o burro, e un po’ di zafferano” – questo piatto – “sarà buono per i chierici vaganti e per i pellegrini”.
Pulmentum
I pellegrini che venivano accolti nelle case si dovevano accontentare di qualche tazza di Pulmentum. Questo minestrone era fatto con verdure di stagione, cereali, legumi e condito con un po’ di lardo a pezzetti e qualche acciuga. Quando il viandante arrivava la padrona di casa era solita aggiungere nel pentolone un paio di bicchieri d’acqua a testa per ogni nuovo arrivo. La pratica era tanto comune ai tempi che si diffuse il modo di dire “è arrivato un altro frate, brodo lungo e seguitate”.
Il pane dell’accoglienza
Oggi i pellegrini nel cammino per Roma godono di ben altri comfort, anche culinari. Una volta arrivati in città però si può fare un piccolo gesto in pieno spirito solidale. In quaranta panifici artigianali romani è possibile acquistare il “Pane dell’accoglienza”. Su ogni pagnotta è impresso il “Tau”, simbolo dell’ordine religioso dei francescani e ultima lettera dell’alfabeto ebraico. Questo pane può essere acquistato con la stessa formula del famoso “caffè sospeso” napoletano, ossia lasciando il conto pagato per chi ne ha bisogno.